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il punto di vista dell’agente letterario

Intervista a Luigi Bernabò

Come si scoprono gli autori? Che prospettive hanno gli scrittori italiani di conquistare altri mercati? Si può prevedere il successo di un bestseller? Il fondatore della Luigi Bernabò Associates, una delle maggiori agenzie letterarie italiane, racconta il suo mestiere e le prospettive del mercato del libro.

di Oddina Pittatore

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L’agente letterario è un’entità misteriosa: vogliamo inquadrare questa figura, oggi, in Italia?

Il cuore dell’attività dell’agente letterario è quello di individuare gli autori, potenziarli e tutelarne gli interessi, curandone i diritti e le condizioni di pubblicazione. Il suo cliente è l’autore, non l’editore, e tanto più riuscirà a promuoverlo, tanto maggiori saranno i guadagni per entrambi. Questo, in essenza, è il lavoro dell’agente letterario in tutto il mondo.

Luigi Bernabò In particolare, chi si occupa di un mercato come quello italiano, limitato come quasi tutti i mercati nazionali, deve esercitare una forma particolare del mestiere d’agente, dedicando molto tempo non solo a scoprire talenti, ma soprattutto a rappresentare autori stranieri proposti da agenti o case editrici di altre nazioni.

Solo le agenzie dei Paesi anglosassoni, che producono un’ampia gamma di prodotti letterari (dal commerciale al letterario), e sono fortemente esportatori grazie anche alla lingua internazionale, possono dedicarsi quasi esclusivamente alla ricerca di nuovi autori, che poi potranno facilmente vendere in tutto il mondo.

Italiani vs. stranieri: qual è il rapporto tra gli autori che rappresentate?

Quest’agenzia è nata come rappresentanza di stranieri; ancora oggi più del 90% dei nostri scrittori proviene da altri Paesi. Bisogna ricordarsi che l’agente locale non rappresenta un singolo autore straniero, ma l’agente, o la casa editrice, di quell’autore. Insieme ai libri di Ken Follett o di Michael Connelly, arriva un’intera scuderia da proporre, tutti gli scrittori di cui l’agente, o la casa editrice, detiene i diritti, e che ci impegniamo a promuovere al meglio, anche se non li abbiamo individuati in prima persona. Non è un lavoro da poco.

La proporzione è così sbilanciata a vantaggio degli americani anche perché il tempo dedicato a un autore italiano è lo stesso di quello richiesto da un intero gruppo di stranieri. Se rappresento Follett, e quindi tutti gli scrittori della sua agenzia, il mio interlocutore è uno solo, e quindi il tempo che dedico a cento, o mille, stranieri è lo stesso richiesto da un solo italiano.

Per questo, inevitabilmente, si riduce lo spazio da dedicare alla vera vocazione dell’agente letterario, la scoperta di talenti.

In che modo riuscite a individuare le nuove voci da introdurre nel mercato editoriale?

Gli autori italiani si scoprono in maniera casuale, non c’è sistematicità nella ricerca.

Io non posso mai impegnarmi a leggere manoscritti di esordienti perché non sono padrone del mio tempo, già impegnato dagli autori che rappresentiamo. Se e quando troveremo il tempo, e naturalmente cerchiamo di farlo, leggeremo i manoscritti inediti, ma non possiamo garantire di guardare ogni opera che ci arriva e lo dichiariamo esplicitamente.

Tra i tanti manoscritti che arrivano in agenzia, solo alcuni riescono a fermare la vostra attenzione. Che caratteristiche vi colpiscono?

All’interno della casualità della scoperta, può contare il modo in cui il testo arriva; se, per esempio, è caldeggiato da un autore di cui mi fido sarò più incuriosito.

Oppure, può attirarci la maniera in cui lo scrittore si presenta nella lettera allegata all’opera. Il modo in cui si è introdotto è stato, per esempio, fondamentale per Donato Carrisi, che si descrisse dicendo che, secondo la sua mamma, lui aveva l’Angelo custode cattivo. Questa frase mi incuriosì talmente, insieme alla descrizione del protagonista che era molto particolare, che lessi quasi subito il libro, nonostante trattasse di un serial killer, e noi di serial killer non ne potevamo più.

Il manoscritto deve essere in qualche modo sorprendente, anche se non è letterariamente perfetto. Se un libro è “solo” straordinariamente ben scritto, a me non basta. Se presenta un’idea molto forte, come l’aveva Carrisi, allora si può lavorare, perché, anche se non è scritto benissimo, discutendo insieme agli autori si può arrivare a un libro proponibile. Preferiamo un testo imperfetto con un’idea vincente a un testo perfetto che non racconta nulla.

Parte del nostro lavoro, soprattutto nell’ambito della narrativa, è quest’opera di editing.

Libri italiani all’estero: qualche faro all’orizzonte?

Anche se gli scrittori italiani vendono prevalentemente in Italia, oggi osserviamo eccezioni alla regola che un autore italiano abbia come mercato (solo) il suo Paese. Bestseller come quelli di Donato Carrisi, grande successo in Inghilterra, Germania e Francia, o di Gianluigi Nuzzi, sono letti in tutto il mondo.

In Europa gli autori italiani vendono bene, talvolta meglio che da noi. Già prima di Carrisi e Nuzzi, e naturalmente del fuori classe Umberto Eco, Michele Giuttari ex capo della Squadra Mobile di Firenze, protagonista delle indagini sui mostri di Firenze, era molto venduto in Germania, e lo è tuttora in Gran Bretagna, ancor più che in Italia. Fabrizio Gatti, che spacciandosi per un immigrato ne ha raccontato l’odissea in Bilal, ha riscosso un successo enorme in Francia, così come l’ultimo romanzo di Chiara Gamberale è andato molto bene in Spagna. L’Europa, comunque tradizionalmente grande importatrice, oggi è più permeabile e aperta agli scambi di libri tra gli europei di quanto lo fosse 15 anni fa.

America o Europa: quale mercato è più promettente per i nostri scrittori?

Mentre l’Europa è diventata un’area di scambi culturali molto interessante, i Paesi anglosassoni, ma soprattutto l’America, sono impermeabili, quasi impossibili da raggiungere. Per vari motivi: intanto, perché mentre i nostri editori leggono le altre lingue, il 99% degli editori americani non capisce l’italiano, e quindi solo i libri che hanno scalato impetuosamente le classifiche hanno qualche possibilità di essere notati.

Poi, osserviamo sempre di più che si sta allargando il gap culturale tra Europa (Gran Bretagna compresa) e Stati Uniti. Mentre trent’anni fa c’era una quasi totale corrispondenza tra il mercato inglese e quello americano, oggi non è più cosi, l’abito mentale e culturale è abbastanza diverso.

La Cina è vicina? Gli autori italiani riescono a essere tradotti e a raggiungere i lettori asiatici?

L’Asia esiste, ma è più difficile da valutare, è un mercato in cui siamo presenti con i nostri subagenti, ma di cui non abbiamo il polso.

È un difetto nostro, vendiamo in Giappone, in Cina, dove per esempio abbiamo appena pubblicato la traduzione del romanzo di Chiara Gamberale, ma non riusciamo ancora bene a seguirne il percorso. È in aumento la curiosità verso i nostri autori, ma per il momento sono mercati numericamente non significativi.

È possibile prevedere il bestseller?

Assolutamente no.

Sono troppi i fattori imponderabili. Fino all’ultima fiera del libro, gli editori di tutto il mondo si chiedevano: “dopo Dan Brown, chissà quale sarà la nuova tendenza?” Nessuno è riuscito a rispondere a questa domanda finché sono arrivate le Cinquanta sfumature, un genere di bestseller planetario, che proprio nessuno avrebbe predetto.

Tante cause determinano l’affermazione di un libro, compreso il momento in cui esce; io sono convinto che se Il codice da Vinci fosse stato pubblicato dieci anni prima, forse sarebbe stato solo uno dei tanti libri, considerato simile alla serie sul triangolo delle Bermuda.

In Italia ci si basa molto sul successo che un testo ha già avuto nel resto del mondo, però, se si guarda solo ai bestseller in America, non è detto che siano trionfi replicabili da noi. Oggi poi, la previsione è ancora più difficile perché i diritti si vendono prima della pubblicazione del libro. Naturalmente, un eccezionale entusiasmo iniziale orienta la scelta; è difficile ignorare un manoscritto che viene venduto a 1 milione di dollari.

I fattori che determineranno il successo restano comunque, nella maggior parte dei casi, imprevedibili.

Quali sfide ci attendono nel futuro?

La grande sfida è la tutela dell’autorialità, se non riusciamo a difendere i diritti degli autori, non avremo più libri. Come tutelarli? Continuando a garantire un reddito agli scrittori, anche offrendo una serie di servizi utili, dal contributo sul lavoro di editing (valore aggiunto che l’editore o l’agente possono dare a chi ne ha bisogno) fino all’utilizzo dei nuovi media.

Riguardo al digitale, non penso che modificherà i contenuti dello scrivere.

Nell’ambito di cui mi occupo (nel campo dei libri che profittano del successo commerciale e non di quelli di grandissima qualità che però non vendono), alla fine quello che conta e premia è il gusto dei lettori. Come non era mai successo nel ventesimo secolo, negli ultimi anni alcuni libri come Harry Potter, Il codice da Vinci, le Cinquanta sfumature, hanno intercettato un gusto comune planetario, evidentemente offrendo qualcosa in più che in quel momento attirava i lettori di tutto il mondo.

Come si evolverà la figura dell’agente letterario?

L’agente, che è uno dei mediatori dei contenuti nel mondo dei libri, tradizionalmente ha sempre collaborato con l’editore, anche se il rapporto di reciproco interesse non esclude il conflitto. Il primo persegue gli interessi del suo autore anche contro quelli dell’editore.

Paradossalmente, ma non troppo, nel momento in cui una serie di fattori minaccia l’autorialità, agenti e editori devono a mio avviso rinforzare la loro collaborazione, alleandosi in questa battaglia. Questa maggiore cooperazione può contribuire in modo determinante a difendere il ruolo, la professionalità e la remunerazione degli autori, nel momento in cui entrano nel mercato giocatori non strettamente editoriali e che non hanno come principale interesse il libro, come Amazon, Google, Apple.
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