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penne taglienti

Intervista a Paola Mastrocola

Insegnante di lettere al liceo scientifico, Paola Mastrocola è una scrittrice versatile, ironica e provocatoria. Con i suoi romanzi tra comicità e malinconia, con i saggi controcorrente, con le favole moderne e con le raccolte di poesia colleziona premi e attrae grandi numeri di appassionati lettori. Quando poi parla della scuola riesce sempre a innescare un dibattito infuocato.

di Oddina Pittatore

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  1. L'INTERVISTA

  2. icona bibliografia I manuali educativi con Cercalibro


Di Paola Mastrocola colpisce la poliedricità. È scrittrice di saggi, romanzi, commedie teatrali, favole moderne e raccolte di poesia.

Perché forme di scrittura così diverse?


La vera scelta iniziale non è il genere letterario, ma quale storia vuoi raccontare, che cosa vuoi veramente comunicare. Solo dopo, e di conseguenza, scegli la forma giusta, quella più consona.

Diciamo così: ogni tanto ho una cosa che mi urge da dire, poi vedo che forma ha. Può anche non essere una storia, e in questo caso la scriverò sottoforma di saggio, poesia o commedia.

Paola Mastrocola Per me, è il genere letterario che è al servizio dell’urgenza di quello che dobbiamo esprimere. Sono, in realtà, quasi stupita che esistano categorie chiuse come “i narratori” o “i poeti”, mi sembra limitativo.

Come reagiscono i lettori di fronte a questa varietà di forme?

Chi sceglie i libri di Paola Mastrocola legge tutte le opere o si appassiona a un solo genere?


Penso spesso ai miei lettori perché non li tratto in modo tanto semplice. Li impegno veramente molto. Io credo di avere lettori bravissimi, non comuni. Dato che, come dice spesso mio figlio, non si sa mai se dico sul serio, la prima sfida è capire il tono e il senso delle mie parole, se quello che scrivo va inteso o no alla lettera.

E poi, effettivamente, mi piace molto sorprendere i lettori scardinando le loro aspettative: non fanno a tempo ad abituarsi ai miei “romanzi di animali” che si ritrovano tra le mani un saggio sulla scuola o un libro di poesie. È come li portassi in automobile a tutta velocità e all’improvviso sterzassi inaspettatamente, a destra o a sinistra.

Ogni tanto, guardando i commenti sui blog, vedo che alcuni non gradiscono gli spostamenti, talvolta forse li ho persi per strada e me ne dispiace, ma poi penso che magari li riprendo alla fermata successiva…

Però, ne incontro anche molti altri che mi dicono di aver letto tutti, proprio tutti, i libri che ho pubblicato, indipendentemente dal genere.

E questo naturalmente mi riempie di gioia, mi fa sentire anche un po’ in debito con loro, mi sembra che dovrei fare di più per meritarmi lettori così.

“Mi sono permessa di avere delle idee culturalmente scorrette” dichiara Paola Mastrocola in Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare.

È il secondo pamphlet e, come il primo La scuola raccontata al mio cane, offre descrizioni impietose che hanno infiammato gli animi dei lettori e degli insegnanti.

Quanto le è costata la libertà di esprimere il suo pensiero, proclamando il valore controcorrente di uno studio astratto, anche difficile, anche nozionistico?


Sono stata una bambina timida, che per tutta la giovinezza aveva come unico desiderio quello di piacere a tutti. Un desiderio non originale (ce l’hanno tutti, credo…) che si è protratto a lungo. Adesso me ne sono fatta una ragione, ho dovuto accettare che non tutti mi amino, ho dovuto accettare il dissenso, anche se non è facilissimo.

Con un libro così mi aspettavo che molti non fossero d’accordo e me lo dicessero in modo argomentativo, portando le loro ragioni per replicare alla mia tesi.

Il prezzo più grave che pago, e che non avevo previsto, è il dissenso sleale. Mi aspettavo una critica argomentata, ma non mi aspettavo l’insulto, l’attacco personale a me e non al saggio, questo non va bene. Quando di fronte a questo libro, invece di discutere le mie tesi, leggo che si dice “la Mastrocola tolga il disturbo che evidentemente ha sbagliato lavoro”, mi sembrano commenti insensati e sleali. È un prezzo notevole da pagare che risolvo evitando di leggere i commenti.

Togliamo il disturbo Deve essere difficile avere come insegnante una scrittrice dalla penna tagliente.

Come reagiscono i suoi allievi a essere descritti, sia pur con affettuosa ironia, come “i non studianti” che stazionano nei licei senza nessuna voglia di studiare?


In realtà, i miei studenti sono curiosi delle mie apparizioni in TV, mi fanno i complimenti o mi applaudono perché hanno visto una foto o un’intervista, ma non sono mai entrati nei temi del libro, non mi hanno mai chiesto “ma lei ci vede così?”

In classe ci divertiamo da pazzi, abbiamo un ottimo rapporto. Io faccio lezione tradizionale, frontale, anche per due ore di seguito e l’attenzione e l’interesse sono totali; ascoltano, discutiamo, ridiamo anche o allarghiamo il discorso all’attualità.

Il problema è dopo: nonostante l’enorme partecipazione in classe, quando la settimana dopo interrogo nessuno ha aperto un libro. Tutto quell’interesse, quella vera partecipazione non si sono tradotti in uno studio individuale; quel libro che abbiamo visto insieme, poi non è stato studiato, capito, approfondito.

Temo che la scuola funzioni solo quando si rende spettacolo e gli allievi ti seguono attenti come fanno per una trasmissione televisiva. Come la TV, però, finito lo spettacolo, finito tutto, si spegne e si pensa ad altro.

“I nostri ragazzi non hanno più la capacità di capire quello che leggono… sono di una povertà lessicale sconcertante… Non leggendo più perdiamo le parole.”

La situazione è così drammatica?


Sì, e ancora di più; naturalmente dipende dagli obiettivi che ci prefiggiamo. Se semplicemente vogliamo che i ragazzi leggano, non importa quali libri, allora va bene così: i ragazzi oggi leggono, ma soprattutto le opere “più facili”, meno complesse (non Kafka, non Pirandello).

Se noi, invece, smettessimo di considerare che va bene tutto e che tutto è uguale (come nelle classifiche dei libri dove ai volumi di ricette diamo lo stesso peso di quelli di Oscar Wilde) e volessimo che i ragazzi capiscano Dante, allora la situazione si rivelerebbe drammatica, perché con la preparazione che hanno, i giovani a 16 anni non sono in grado di leggerlo.

In una recente intervista, Benigni ha dichiarato che, per la sua lettura del VI canto del Purgatorio al festival culturale Biennale Democrazia a Torino, si è preparato per mesi ed è rimasto chiuso in albergo gli ultimi tre giorni a ripassare. È questo che manca: se si pensa che leggere Dante non richieda tempo e impegno, stiamo sbagliando. Non possiamo avere sempre Benigni a farci da tramite, non basta.

Il problema è a monte: la società deve chiedersi se vuole che i suoi ragazzi sappiano leggere Dante o se basta andare da Benigni una sera. Siamo una società che produce scorciatoie.

In Togliamo il disturbo si insiste sulla necessità di “stare”, permanere e indugiare sulle pagine per capirle a fondo.

Come “sta” Paola Mastrocola sui testi quando scrive un libro?

Qual è la sua routine di scrittrice?


Io “sto” molto, in genere mi piace stare, stare ferma, mi piace riscrivere all’infinito, perché ri-scrivere è la vera anima dello scrivere. Scrivere di getto è la cosa più bella del mondo, ma il lavoro è un altro, deve ancora venire: è stare, permanere, cambiare le parole, tagliare, rimettere, ri-tagliare, aggiungere, spostare. Tutto questo cambia il libro, lo cesella, lo trasforma.

Anche nel leggere amo molto indugiare, magari mi fermo su due pagine, sto lì; leggere vuole anche dire ri-leggere come scrivere significa ri-scrivere. Se trovo una pagina che mi piace, la leggo, chiudo il libro, non continuo, il giorno dopo rileggo quella stessa pagina. Perché dovrei andare avanti?

La gallina volante A partire dalla Gallina volante, la capacità di osservare e descrivere con occhio disincantato, ma pervaso da ironia, sembra una caratteristica fondamentale che accomuna molti suoi romanzi.

Quali sono i suoi filtri d’osservazione della realtà?


Mi aiuta molto sentirmi sempre un marziano. Quando arrivo in un posto mi sento regolarmente a disagio, non capisco mai bene; questo è un limite che, in questo caso, può trasformarsi in un formidabile aiuto a osservare davvero le cose un po’ come fosse la prima volta.

Ho anche un’altra molla che mi spinge ad analizzare a fondo certe realtà: quando sono irritata per qualcosa, e lo sono perennemente, magari in modo affettuoso, ho bisogno di capire a fondo l’oggetto del mio sdegno, sono curiosa di osservarlo per capirne le ragioni.

Ha scritto anche due romanzi favola.

Che ruolo ha il mondo incantato nella sua vita?


Il mondo è incantato.

Leggere è un modo per volare alto, per abitare altri mondi.

Quali sono i suoi libri culto, i libri pietre miliari?


Guerra e pace di Lev Tolstoj, Il Canzoniere di Francesco Petrarca, gli articoli di Natalia Ginzburg e, tornando all’infanzia, Il piccolo Lord di Frances Burnett.

Nella letteratura contemporanea ci sono testi che mi sono piaciuti (amo molto Margaret Mazzantini, per esempio), ma non sono libri che mi porto dentro, che rileggo, che mi hanno toccato profondamente (neanche i miei naturalmente).

È grave, lo so.

Con la raccolta La felicità del galleggiante (Guanda) ha vinto il Premio Letterario Camaiore 2010 di poesia.

Ha senso oggi scrivere poesie?


Scrivere oggi un libro di poesia è come non fare nulla perché non si legge assolutamente poesia. Io sono rimasta sconcertata nel constatare l’enorme sproporzione tra la diffusione dei romanzi e quella dei testi poetici. Tra l’altro, i libri di poesia non sono neanche esposti nelle librerie, restano nascosti negli scaffali.

Non si legge poesia, non la si espone, ma in compenso se ne scrive molta. È una contraddizione che mi porta a pormi una piccola domanda: come mai quelli che scrivono così tanta poesia ne leggono cosi poca?

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