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editoria religiosa

Intervista a Marco Ragaini

Che cosa si intende per editoria religiosa? Come viene percepita dal pubblico e dai media? Che ruolo gioca il canale distributivo? Lo abbiamo chiesto a Marco Ragaini, Direttore marketing di San Paolo Edizioni.

di Rosalba Rattalino


Incontro Marco Ragaini davanti a un caffè di metà mattina, in quella che scopro essere tappa intermedia di un suo frenetico tour lavorativo. Ho una personale, pregiudiziale, curiosità: in che cosa consiste fare marketing nell’editoria religiosa? Come si congiungono due territori che ai miei occhi paiono quasi come ‘il diavolo e l’acqua santa’?


Direttore marketing di San Paolo Edizioni: che cosa vuol dire fare marketing per un editore religioso?

Bella domanda, me la sono posta spesso anch’io. Parliamo, te lo spiegherò strada facendo.

Marco Ragaini Il consumo di editoria religiosa è stato a lungo una realtà poco visibile sui grandi media. Tant’è che quando le librerie religiose sono entrate nel circuito Arianna, in Repubblica (la cui classifica dei libri si basa sui dati Arianna) la novità è stata accolta con grande soddisfazione. Che dimensioni ha l’editoria religiosa?

L’editoria religiosa non è esattamente un consumo di nicchia, a dispetto di quello che alcuni possono pensare.

Non lo è se guardiamo i volumi: l’editoria religiosa pesa sul mercato trade circa il 9% (sto citando un dato AIE), nessun altro settore è così forte, nemmeno la cucina o lo sport.

Ma anche sul piano dei contenuti, se consideriamo le domande che l’uomo si pone, se consideriamo il bisogno di spiritualità, è chiaro che una parte dell’editoria religiosa tratta tematiche che toccano tutta la popolazione – come dimostrano del resto gli argomenti dei libri più venduti nella saggistica. E in epoca di crisi la ricerca di punti di riferimento e la domanda spirituale crescono ulteriormente.


Facciamo allora un passo indietro: di cosa parliamo quando parliamo di editoria religiosa?

Parliamo di un’area vasta e complessa, all’interno della quale distinguerei almeno tre tipologie di pubblicazioni.

C’è un segmento che possiamo definire “di servizio” orientato prevalentemente alla comunità cristiana. Molto articolato al suo interno, comprende dai testi di teologia e studio fino alle pubblicazioni di sussidio per i fedeli (materiali liturgici, formativi o di approfondimento). Quest’ambito è appannaggio esclusivo degli editori cattolici, e nel nostro fatturato pesa in modo rilevante. Un capitolo a parte meritano ovviamente le Bibbie, i Vangeli e i testi sacri in genere che sono destinati, a seconda della tipologia di apparati e commenti, a un pubblico molto diversificato: dalla gente comune allo specialista.

Un secondo segmento è costituito da un mercato “religioso popolare”, che può sconfinare nel devozionale ma non necessariamente – i Santi, le apparizioni, i miracoli, fino, al limite, ai fenomeni legati al male, alla malattia, al satanismo. È un settore tutt’altro che in crisi, anzi sta crescendo: segno che risponde a un bisogno profondo, fortemente sentito da una parte della popolazione, e come sappiamo il fenomeno mistico tocca anche fasce di pubblico istruite e colte. Parliamo di un segmento che inizia a interessare anche editori non cattolici. Per fare un esempio eclatante: i libri di Paolo Brosio su Mediugorje, pubblicati da Mondadori.

E poi c’è “il terzo settore”. Un’area editoriale che si rivolge potenzialmente a tutti, a tutti quelli che si pongono delle domande: tematiche di fine vita, rapporto fra scienza e fede, le ragioni per credere, tematiche sociali. È un ambito in cui il pubblico cerca autori autorevoli, nomi come Enzo Bianchi, Carlo Maria Martini, Gianfranco Ravasi. Autori che sanno imporsi con un pensiero autonomo e originale, che sanno parlare con un linguaggio che intercetta i linguaggi di oggi.

Il terzo settore rappresenta secondo me il terreno su cui si gioca il futuro dell’editoria religiosa. Infatti… è quello su cui anche editori come Mondadori, Rizzoli, Piemme stanno lavorando molto.


In effetti alcuni nomi che hai citato lavorano anche con editori cosiddetti laici.

Certo, ed è oggetto di polemica nel nostro ambiente il fatto che autori “nostri” pubblichino anche con altri editori.

Secondo me non è un male: innanzi tutto consente agli autori di raggiungere una visibilità immediata e di coinvolgere anche un pubblico che altrimenti non si avvicinerebbe. Questa dinamica è positiva per tutto il settore.

E per noi è uno stimolo a confrontarci con le evoluzioni culturali, a fare ricerca sui temi, sui linguaggi, a interrogarci sui modi di comunicare con il pubblico di oggi: sono aspetti fondamentali, quanto meno per un editore come San Paolo che dialoga con tutto il mercato.

Non dimentichiamo poi che dietro a un nome che diventa famoso c’è un lungo lavoro di scouting. E il lavoro di scouting in questo campo lo possono fare solo gli editori religiosi: perché hanno un radicamento, una rete di relazioni che l’editore laico ovviamente non ha. È uno spazio che nessuno ci può togliere.

L' illusione dell'ateismo L’editoria religiosa per un editore come San Paolo contempla solo autori credenti?

No, e ti propongo subito un caso concreto: Paolo Paci, giornalista, di provenienza non cattolica, ha scritto un libro in cui raccoglie le sue emozioni e riflessioni su un viaggio da non credente in Terra Santa. L’ha pubblicato con noi (Il deserto dei non credenti).

Il discorso religioso non è appannaggio solo dei credenti. Anzi, è importante trovare un territorio di dialogo in cui le differenze pregiudiziali cadono. Noi ad esempio abbiamo pubblicato un libro di Francisco Ayala, scienziato vincitore del premio Templeton, su Il dono di Darwin alla scienza e alla religione. Abbiamo pubblicato un testo in cui il cattolico Timossi si confronta con ricercatori scientifici notoriamente scientisti e atei affrontandoli sul loro terreno, non con argomentazioni ideologiche ma con dialogo scientifico. Presso altri editori, il testo di Mancuso e Augias – Disputa su Dio e dintorni - è un esempio di questo dialogo franco e rispettoso.


Quanto conta il canale distributivo?

Ovviamente molto. Noi siamo presenti in tutte le librerie, siamo nella grande distribuzione, negli Autogrill, negli aeroporti (se vai in libreria a Linate trovi la nostra Bibbia: e vende! Sarà perché la gente ha paura di volare?). Non ultimo, anzi rilevantissimo per noi, il canale online (IBS): continua a crescere, anche perché l’online ti permette un lavoro sul catalogo molto più ampio.

Naturalmente le librerie religiose sono essenziali, ed è un mondo in evoluzione.

Una volta la libreria religiosa era molto più specialistica: ma i nostri lettori non sono monotematici… il fatto che leggano libri di carattere religioso non implica che questo sia il loro unico interesse.

Oggi la situazione è cambiata, il pubblico che entra nelle nostre librerie trova anche una buona offerta di varia (attualmente circa il 30% dell’assortimento) e questo processo di “contaminazione” fra i due ambiti è destinato a proseguire: almeno per noi che stiamo investendo sull’apertura di nuove librerie, con un nuovo format.

Nelle librerie laiche - penso in particolare alle grandi catene - l’editoria religiosa è spesso trattata superficialmente per cui ad esempio trovi mescolati la Bibbia e il libro di Osho, tutto nello stesso calderone. Spesso non si capisce quali siano i criteri di selezione dei titoli, perché quel libro e non un altro più importante. Un titolo di storia me lo ritrovo magari collocato nello scaffale religione semplicemente per motivi di brand editoriale.

L’editoria religiosa è un’area complessa che ha le sue segmentazioni, le sue logiche, perfino le sue stagionalità: richiede competenza, se non ne sai nulla finisci con il trattarla male.

Poi certamente nell’impatto sul pubblico permane un discorso di connotazione dei marchi editoriali: la storica separazione tra filiera religiosa e filiera laica, tutt’ora presente anche se si va attenuando. E questo lo si vede molto bene nell’impatto delle estensioni editoriali. Ci sono ambiti nei quali il pubblico percepisce estrema coerenza con il patrimonio valoriale e di immagine di un editore come San Paolo: ad esempio l’editoria per i ragazzi, che è diventata una realtà per noi molto importante. E ci sono ambiti nei quali, per un marchio di matrice religiosa, la strada è più in salita.


Si parla molto di e-book. Tu come lo vedi pensando all’editoria religiosa?

Noi ci stiamo lavorando. Però noto che dopo il tanto parlare di e-book l’anno scorso, negli ultimi tempi tutti hanno un po’ ridimensionato il clamore iniziale perché per ora l’e-book in Italia non ha avuto un impatto dirompente. Molto dipenderà dal mercato dei vari e-reader, da quanto e come si diffonderanno.

Per me la vera potenzialità dell’e-book è legata a prodotti concepiti ad hoc: una Bibbia che sfrutti a pieno le infinite possibilità di approfondimenti e multimedialità offerte dalla strumento tecnologico sarebbe meravigliosa. La seconda potenzialità, almeno per noi, è di poter avvicinare un pubblico nuovo, magari attratto tanto dal device tecnologico quanto dai contenuti. Proprio in questi giorni l’app di Famiglia Cristiana sui dieci comandamenti è al primo posto delle classifiche di vendita sull’appstore. Ci sono spazi enormi ancora tutti da inventare.

La Bibbia In apertura accennavo alla classifica di vendita dei libri. Quando si rilevano le librerie religiose ci si trova davanti a un mondo non sempre riportabile ai criteri convenzionali. Secondo te quali filtri può essere utile applicare per rendere questi dati di vendita più omogenei agli altri? Prezzo? Numero di librerie coinvolte?

Secondo me è giusto utilizzare il criterio del prezzo. Ci sono pubblicazioni religiose di poche pagine che hanno un costo irrisorio (un euro o due, o addirittura meno di un euro) e fanno ‘a ondate’ volumi pazzeschi: ne avremmo sempre qualcuna ai primi posti, ma questo distorcerebbe il senso della classifica mettendo in ombra i libri veri e propri.

Invece non mi convince un filtro legato al numero di librerie in cui il titolo è stato venduto. Può succedere che un titolo religioso venda una certa mole di copie solo in una o due librerie, che l’acquirente sia un intermediario come un parroco o un’associazione. Ma questo nulla toglie al fatto che quelle copie sono state vendute, e che entreranno in circolo: il parroco, l’associazione, comprano per distribuire. Se no vorrebbe dire che il libro acquistato per fare un regalo non va considerato, perché acquirente e destinatario non sono la stessa persona e non si sa se chi riceve il libro poi lo leggerà. Ma questo riguarda qualsiasi editore, religioso o laico che sia. Sarebbe come applicare un filtro sul numero di copie vendute in occasione di eventi, quando si sa benissimo che eventi, presentazioni, sono per tutte le case editrici un momento rilevante di vendita.

Un discorso a parte merita la stima del venduto nell’editoria cattolica. Per motivi anche tecnologici, un certo numero di librerie religiose sfugge ancora alla rilevazione e questo porta a sottostimare le vendite.


È importante comparire nelle classifiche?

Si, perché influenzano le vendite.

E poi perché ti mettono alla pari con gli altri: vorrei che l’editoria religiosa fosse finalmente considerata semplicemente ‘editoria’.


Torniamo alla domanda di apertura: cosa vuol dire fare marketing nell’editoria religiosa?

Io il marketing lo vedo sotto il profilo della comunicazione. Si tratta di capire la sensibilità e il punto di vista del lettore: portarli dentro alla casa editrice e cercare di costruire un terreno comune, di reciproca interazione. Non è un percorso unidirezionale, men che meno di appiattimento sulla richiesta, però voglio sapere che cosa la gente per strada si aspetta, che cosa sta cercando. Voglio favorire l’incontro, e in questo la libreria gioca un ruolo nodale perché è il luogo per eccellenza in cui il mondo dell’editore e il mondo del pubblico si incontrano.

La religione cattolica ha un patrimonio incredibile di spiritualità, di conoscenza, un patrimonio che ha forza da sé, che parla da sé. Il punto è proporlo con “simpatia”: questo coinvolge il marketing? Secondo me si.
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