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la mia vita con le balene

Intervista a Maddalena Jahoda

Biologa, cetologa e scrittrice, appassionata del mare, ricercatrice nello staff scientifico, e per molti anni nel direttivo, dell’Istituto Tethys per la tutela dei mammiferi marini nel Mediterraneo, Maddalena Jahoda non si dedica solo allo studio sul campo delle amate balene, ma anche alla divulgazione. Giornalista, è autrice sia di lavori scientifici sia di libri che trasmettono le sue conoscenze e le sue esperienze alla scoperta dei grandi mammiferi del Mediterraneo.
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  1. L'INTERVISTA

  2. Nello scaffale della cetologa

  3. icona bibliografia Picnic con le balene con Cercalibro


Balene, passione di una vita, perché? Com’è nato il desiderio di scoprire questi animali affascinanti?

Come spesso nelle grandi passioni, la prima scintilla è scoccata per caso. Quando avevo cominciato, nonostante la laurea in biologia, i laboratori non mi attiravano affatto e preferii dedicarmi alla divulgazione nelle riviste naturalistiche. Ma il destino volle che mentre scrivevo articoli o facevo cucina redazionale nel mensile Aqua, nella stanza accanto venne fondato, da un giorno all'altro, nientemeno che un piccolo istituto di ricerca. Che, intendiamoci, in un giornale non era certo indispensabile, se non a fare da fiore all'occhiello.
Maddalena Jahoda Cominciai a frequentare sempre di più la stanza accanto, l’Istituto Tethys, e quando la rivista fu venduta e i redattori licenziati, avevo ormai ammesso con me stessa che la mia vera passione era studiare gli animali, soprattutto il comportamento. Balene e delfini che, pur popolando i nostri mari, allora erano pressoché sconosciuti alla scienza e ancor più al pubblico, erano perfetti per scatenare una passione latente.

Sei stata protagonista di un'esperienza unica, le prime ricerche scientifiche sul campo nel nostro mare, crociere d’avvistamento nella “giungla blu” del Mediterraneo per studiare balenottere, stenelle, delfini e capodogli.

Qual è il ruolo del whale watching nella ricerca?


È stato fondamentale - e lo è ancora adesso.

La partecipazione di volontari paganti ci permise di coprire i costi proibitivi delle spedizioni in mare; per la prima volta furono raccolti dati sugli animali nel loro ambiente naturale - una rivoluzione in un campo che fino allora doveva accontentarsi di occasionali spiaggiamenti.

Le scoperte non tardarono a venire, ma soprattutto fu chiaro che solo coinvolgendo anche i non addetti ai lavori si poteva spingere verso azioni per la tutela.

Perché hai sentito l’esigenza di scrivere un libro per raccontare “la tua vita con le balene”? Che esperienze volevi comunicare ai tuoi lettori?

Anche se è venuto molti anni dopo, il libro è una conseguenza del rapporto con i volontari che ho avuto per tanto tempo a bordo delle barche, o durante le conferenze, o ogniqualvolta il mio strano mestiere suscitava la curiosità degli astanti. Quello che ho cercato di far capire è perché, con tutti i problemi che ci sono al mondo, c'è chi dedica la propria vita a esseri insoliti e lontani dal nostro quotidiano come le balene.

Le ricerche di cui mi occupo sono sempre finalizzate alla salvaguardia degli animali; se riusciamo a proteggere i cetacei avremo automaticamente preservato anche il loro ambiente. Che, a ben vedere, è un ambiente di cui usufruiamo anche noi. Perché proprio i cetacei? Perché hanno due peculiarità; sono degli indicatori ambientali, cioè possono essere i primi a dirci cosa non va nel mare. E poi, ammettiamolo, ci emozionano, e allora perché non sfruttare questo fascino a vantaggio loro - e non solo loro?

Che rapporto si è creato con i lettori?

È una sensazione stranissima. Nel libro parlo di cetacei, come ho fatto per molti anni, ma per la prima volta, parlo anche un po' di me. Molti lettori mi scrivono, ed è buffo quando mi accorgo che mi conoscono più di quanto pensassi. Con qualcuno poi siamo diventati amici e siamo andati a vedere le balene assieme. Sì, devo proprio dirlo: mi ha fatto conoscere persone meravigliose.

Hai iniziato la tua carriera come giornalista scientifica, hai scritto e tradotto libri sui cetacei, sugli squali e sulle battaglie per salvare i più grandi mammiferi della Terra.

Qual è il rapporto tra la scrittura e l’amore per gli animali, quanto può fare un libro per la conservazione?


Io continuo a credere che anche un libro possa contribuire, perché solo far conoscere quello che stiamo rischiando di perdere per sempre può "smuovere le acque", per restare in tema. In poco più di 20 anni ci sono stati alcuni successi, faticosamente raggiunti, per esempio è stato creato il Santuario del Mar Ligure per tutelare una delle zone più ricche del Mediterraneo. Certo, poi è necessario che politici e amministratori facciano la loro parte, e oggi il Santuario è al centro di feroci polemiche perché esiste solo sulla carta. Ma qui, di nuovo, si può solo far leva mediante il pubblico.

Purtroppo c'è anche da dire che, per ogni piccolo passo nella direzione giusta, nuove minacce arrivano a una velocità immensamente superiore. Sto pensando, per esempio, al collasso dei grandi stock di pesce a livello mondiale, che avrà ripercussioni probabilmente irreversibili sull'equilibrio dell'ecosistema marino di tutto il pianeta. Una catastrofe immane che, a confronto, fa apparire purtroppo irrisorio qualunque sforzo a favore di singole specie.

Ci sono aspetti controversi nella politica di protezione dei cetacei, come ben evidente ne I guerrieri delle balene, il libro che hai tradotto, scritto dal giornalista americano Peter Heller.

Paul Watson, il capitano della Sea Shepherd Conservation Society, è l’anti-Achab, un “ecoterrorista” che ignora la parola compromesso, se si tratta di salvare la vita dei grandi mammiferi marini, e insegue le baleniere giapponesi che cacciano le balene.


Sono molto affezionata a questo libro. Ancora una volta ci si era messo il caso, perché quando era uscito in inglese volevo leggerlo; e proprio mentre stavo per ordinarlo, mi contattò l'editore Corbaccio chiedendo se potevo tradurlo.

Fu divertente: mentre mi occupavo delle vicende svoltesi l'anno prima, guardavo in diretta sul sito di Sea Shepherd cosa stava accadendo in quei giorni, ed era come esserci davvero, a bordo di quella nave di "pirati" idealisti.
Le mie balene
Balene e libri, mitologia, letteratura, manuali di avvistamento, libri sul comportamento: cosa legge chi ama le balene?

Forse i primi libri che mi hanno lasciato un segno furono quelli di Konrad Lorenz che esplorò il lato per me più affascinante della biologia, il comportamento degli animali. Poi ho adorato, e sicuramente mi ha influenzato, un cult di ogni naturalista, La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrell.

Anni dopo ebbi la fortuna di tradurre il libro di un altro mito della cetologia, Roger Payne, che raccontava di quando si trasferì con tutta la famiglia in Patagonia per studiare le balene franche (La vita segreta delle balene, 1996, Mondadori). Anche I giorni del delfino di Ken Norris (1993, Bompiani) è un buon misto di divulgazione scientifica e racconto della vita del cetologo.

Fuori dal campo strettamente zoologico, amo molto Kathy Reichs, che scrive gialli, ma sempre basati su un'ottima divulgazione scientifica: non c'entra direttamente con i cetacei, ma le (fortunatamente poche) volte che ho avuto a che fare con animali spiaggiati, che bisognava dissezionare nel tentativo di capire come erano morti, mi ci sono rivista un po'.

Ci sono libri che ti hanno appassionato e che vorresti vedere tradotti?

Il terzo libro della trilogia Corfù di Durrell, dato che in Italia, oltre al primo La mia famiglia e altri animali (1990, Adelphi), è stato tradotto solo il secondo (L'isola degli animali, 2002, Guanda).

Poi un testo di Maddalena Bearzi e Craig Stanford, Beautiful Minds: The Parallel Lives of Great Apes and Dolphins (2010, Harvard University Press), nel quale un esperto di primati e uno di cetacei si confrontano sulle "belle menti" di animali tanto diversi accomunati da cervelli elaborati. Paradossalmente la cetologa è un'italiana, che per fare ricerca e scrivere, è andata negli Stati Uniti.

Mi piacerebbe veder tradotti altri libri anche un po' più specialistici come Sperm Whales: Social Evolution in the Ocean di Hal Whitehead (2003, University of Chicago Press), che riassume tutto quello che la ricerca sa oggi sui capodogli, altra specie di cetacei che può riservarci molte sorprese.

Ma soprattutto, certi libri, mi piacerebbe vederli poi diffusi. In Italia sono usciti titoli molto validi che languono per pochi mesi, in un'unica copia, sul più remoto degli scaffali della libreria. Venduta quella, diventano introvabili. Per esempio Allarme pesce (di Charles Clover, 2004, Ponte alle Grazie), un libro che all'estero ha suscitato grande clamore, tanto che se ne è tratto anche il film The end of the line, che denuncia in maniera molto circostanziata la dissennata gestione delle risorse marine che sta portando al collasso la pesca mondiale.

Così come purtroppo è ormai introvabile Il canto delle balene di Jeremy Cherfas (1990, Geo) che spiegava finalmente il paradosso della caccia ai grandi cetacei, che è impossibile fermare nonostante esista un organo internazionale preposto alla regolamentazione, e nonostante la stragrande maggioranza dei Paesi che ne fanno parte sia contraria. Anche una breve pubblicazione del biologo e giornalista inglese Erich Hoyt meriterebbe di essere tradotta: l'autore ha calcolato che per merito del whale watching oggi una balena vale molto più da viva che da morta (Whale watching 2001: worldwide tourism numbers, expenditures and expanding socioeconomic benefits, 2001, International Fund for Animal Welfare).

Poi ci sarebbero da tradurre molti lavori scientifici, ma non tanto dall'inglese, quanto dal linguaggio da addetti ai lavori a termini divulgativi: se ne scoprirebbero delle belle su cetacei, sull'ambiente marino, sul futuro delle risorse.

Che libri consigli per lo scaffale dell’appassionato di cetacei?

Ci sono diversi manuali, perlopiù sulle varie specie di cetacei, tra cui il più specifico e puntuale sul Mediterraneo è la Guida ai mammiferi marini del Mediterraneo di Giuseppe Notarbartolo di Sciara e Massimo Demma (1994, Franco Muzzio).

I libri fotografici, poi, non mancano, e sono sempre più spettacolari.

Ma all'appassionato di cetacei consiglierei di guardare anche più lontano: capire cosa sta succedendo all'ambiente marino e all'ambiente in generale; consiglierei qualcosa sul consumo consapevole, sulle risorse sostenibili, sugli effetti delle nostre abitudini più banali sull'ambiente.

La divulgazione scientifica è una nicchia poco sviluppata in Italia. Pensi che sia cambiato qualcosa negli ultimi anni?

Sì, ma temo in peggio. A proposito di traduzioni, si trovano cose terribili… La divulgazione scientifica non ha in Italia la tradizione dei Paesi anglosassoni. Ha avuto un boom negli anni Ottanta che faceva ben sperare, ma che purtroppo si è velocemente ridimensionato lasciando spazio, da una parte a una popular science accattivante ma a volte troppo superficiale, mentre la divulgazione naturalistica pare sempre più esigua. Con l'unica clamorosa eccezione delle (per fortuna) inesauribili trasmissioni di Piero Angela.

Trovo veramente allarmanti alcuni nuovi spettacoli, in cui la natura viene presentata come il nemico da battere, con tanto di hit parade degli animali più pericolosi, un passo indietro di decenni che non riesco a spiegarmi.

Ma mi consolo ogni volta che riesco a portare qualcuno con me in mare: "toccare con mano" a volte è ancora più efficace che leggere, e oggi è relativamente facile vedere di persona balene e delfini, sia in Mediterraneo, sia in molti altri posti strategici. Per esempio, mi hanno colpito molto le Azzorre che, nel bel mezzo dell'oceano, consentono di avvistare facilmente le più svariate specie, dalle balenottere azzurre, altrove ormai rarissime, al semi-sconosciuto iperodonte. Quello, spesso, è il primo passo per capire.

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